Femminilizzazione o riconquista del proprio ruolo? di Silvia Piol De Vecchi
Correva l’anno 1050 e Trotula de Ruggiero, donna medico salernitana, mentore di un gruppo di donne che esercitavano la professione di guaritrici note come le mulieres salernitanae, studiose che insegnavano o erano attive intorno alla Scuola medica di Salerno, scriveva l’opera medica in latino Summa qui dicitur Trotula (nota anche con molti altri titoli, tra cui De passionibus mulierum ante in et post partum), fondamentale per l’affermazione dell’ostetricia e della ginecologia come scienze mediche.
Una rara eccezione? Dalle testimonianze che sono giunte fino a noi le donne sono sempre state guaritrici, farmaciste, ostetriche ed infermiere. Successivamente, con l’affermarsi delle università, furono estromesse dal processo di professionalizzazione accademica della professione.
Dovremo aspettare l’800 per vedere le prime donne medico, in Italia fa da apripista Ernestina Paper, e il ‘900 per le prime colleghe in medicina veterinaria, con la statunitense Nicholson e l’inglese Cust.
Dalle eccezioni di inizio secolo a una professione a prevalenza femminile il passo è stato breve.
Il fenomeno è epocale, tanto che la stessa FVE (federazione dei veterinari europei) lo sta analizzando da anni, con l’obiettivo di sviluppare strategie per adattare la professione a quella che è la realtà del mondo medico veterinario, anche negli anni a venire.
I dati raccolti nell’ultimo censimento, il Vetsurvey del 2018, sono illuminanti. 309.144 sono i medici veterinari europei: di questi il 58% è donna (con un aumento del 5% rispetto al sondaggio precedente, quello del 2015) e la maggiorparte di loro ha meno di 45 anni. La percentuale di colleghe è nettamente più alta nelle fasce di età più giovani, in particolare tra gli under 40, raggiungendo l’80% tra gli under 30. Il trend verso la femminilizzazione della professione non è uniforme nei paesi dell’unione europea. Come atteso le percentuali più alte sono in nord Europa (Finlandia, Lettonia e Svezia): oltre l’80%
La volontà di affermarsi in una professione fino a pochi decenni fa di retaggio maschile è evidente: aumenta la percentuale di professioniste proprietarie di una struttura veterinaria con vette dell’88% in Lettonia e Finlandia. La percentuale è aumentata anche in Italia, Francia, Portogallo, Svezia e Repubblica Ceca (rispetto al dato del 2015).
Per contro la percentuale di dottoresse impiegate part-time è quasi tripla rispetto a quella dei colleghi di sesso maschile ed è più alta la percentuale di colleghe senza occupazione. Ma a fronte di una media inferiore di ore lavorative settimanali (sia da contratto che dichiarate: 46,3 ore settimanali a fronte di 41,5 da contratto = +4,8 per gli uomini, 42,4 ore settimanali a fronte di 37,4 ore da contratto= +5,0 per le donne) gli uomini vengono retribuiti in modo più equo. I colleghi sono pagati in media il 12 % in più a parità di ore di lavoro.
Non altrettanto eque sono le conseguenze di questo lavoro retribuito meno. Se il 26 % dei medici veterinari europei ha dovuto assentarsi dal lavoro per più di due settimane a causa di disturbi depressive, burn-out, esaurimento, compassion fatigue, la percentuale di colleghe che soffrono di stress eccessivo è notevolmente più alta rispetto ai colleghi.
Anche in Italia la professione si evolve secondo le medie europee. La FVE parla di un 53% di laureate in medicina veterinaria, con un aumento del 53,6 % rispetto al precedente sondaggio. Un sondaggio a cura dell’associazione nazionale dei medici veterinari italiani (ANMVI) realizzato nel 2020 ha rilevato che la percentuale delle iscritte agli ordini è passata, nel corso di 10 anni, da 37,4% al 46,5%. Se le donne non hanno paura di indossare il camice bianco sono ancora presenti pregiudizi sulle capacità professionali (66%) e resistenza culturale a guardare alla donna come al “dottore” e non a una figura ausiliaria. Saprà la società adeguarsi a questa rivoluzione “rosa”?
La categoria dei medici veterinari non ha mai potuto vantare una grande coesione professionale ma qualcosa sta cambiando: come in tutte le grandi rivoluzioni anche questa nuova spinta arriva dal basso. La stessa Associazione Donne Medico Veterinario ADMV è nata da uno spontaneo desiderio di associarsi e di parlare con un’unica voce della professione al femminile. A noi la responsabilità di rendere questa transizione più equa, giusta e valorizzante: come avrebbero detto le nostre colleghe della scuola salernitana “Concordia parve res crescunt” .
Silvia Piol De Vecchi, medico veterinario