E’ con piacere che pubblichiamo questo interessante articolo. Ringraziamo le colleghe Maria Luisa Marenzoni, Patrizia Casagrande Proietti e Maria Pia Franciosini per avercelo scritto.
E’ facile cambiare mentalità sull’uso degli antibiotici?
No, non è facile (non è stato facile per nessuno di noi) perché per decenni ci siamo letteralmente “affidati” agli antibiotici, per curare, per prevenire. Venivamo da un mondo (che purtroppo ritorna!) in cui si moriva di malattie infettive e avere gli antibiotici ci è sembrato un lusso, che effettivamente ha molto migliorato la nostra vita. Però, forse, da una parte eravamo troppo spaventati dalle malattie, dall’altra entusiasti di poter usufruire di questi strumenti, tanto che ne abbiamo fatto anche un uso profilattico e metafilattico, che ha “spuntato” le nostre armi di difesa! Il sovrauso di questi antibiotici ha prodotto forme di resistenza nei batteri, per cui si torna a morire di malattie infettive batteriche. Le stime per il 2050 hanno toni apocalittici: secondo un rapporto del 2019, prodotto dall’agenzia istituita ad hoc da Oms e Onu, mentre oggi ogni anno si stima muoiano700mila persone per infezioni resistenti agli antibiotici, nel 2050 si potrebbe arrivare a 10 milioni di morti l’anno, se non verranno presi provvedimenti (http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=73482).
Allora da qualche anno la comunità mondiale ha cominciato a parlare di lotta all’antibioticoresistenza, che necessita di azioni, ma, ancora prima, richiede di acquisire consapevolezza del problema e un ragionamento a monte nuovo: SOLO QUANDO SERVE, e selezionando la molecola più appropriata per tipo, organo bersaglio e agente eziologico.
Anzi, oggi, da un punto di vista produttivo, negli allevamenti si è arrivati addirittura a pubblicizzare il non uso degli antibiotici, che però anche in questo caso deve essere fatto con coscienza e ragionamento, non basta semplicemente non usarli.
Ormai da diversi anni si insegnano nei vari corsi universitari di medicina veterinaria, in maniera trasversale, i meccanismi di acquisizione di resistenza agli antimicrobici da parte dei batteri, l’impatto che il problema ha e cosa possiamo e dobbiamo fare per risolverlo.
Come veterinari siamo coinvolti su più fronti, dalla medicina dei piccoli animali (che vivono spesso a stretto contatto con noi), alla gestione degli animali da reddito (anche in allevamenti intensivi) e controllo degli alimenti di origine animale.
Da parte dei veterinari occorre essere consci della situazione (sia che si usino sistemi di sorveglianza strutturati o consapevolezza individuale del contesto delle attività che ognuno gestisce), ma anche lavorare molto, e più di prima, su benessere degli animali, prevenzione delle malattie infettive e, per quanto possibile, fare ricorso a trattamenti alternativi, come probiotici, prebiotici o fitoterapici.
Stiamo anche cambiando i nostri sistemi di allevamento per ottenere questi risultati, puntando ad esempio a quelli biologici.
Possiamo allora addirittura rinunciare ad usare gli antibiotici?
Al momento, ma probabilmente anche nel futuro, no perché come veterinari dobbiamo comunque tutelare la salute e il benessere degli animali e, in alcune circostanze e infezioni, l’uso dell’antimicrobico è ancora necessario. Ma questo uso oggi richiede una conoscenza più approfondita di prima, una competenza medica superiore e un ragionamento più ampio, che parte dal singolo caso di infezione, lo definisce nel contesto epidemiologico-ambientale in cui ha origine e al contempo deve tener conto dell’impatto che questo ha su tutti gli altri esseri viventi.
La nostra formazione ha effetto sulle azioni, che sono individuali, ma con ricadute globali.
Maria Luisa Marenzoni, Patrizia Casagrande Proietti, Maria Pia Franciosini